La depressione malattia del secolo

La depressione. Malattia del secolo

Posted on Posted in Esperti

La depressione è l’incapacità di provare emozioni. È la sensazione di essere morti mentre il corpo è ancora in vita. Non equivale affatto alla pena e al dolore, con i quali anzi non ha niente in comune. Il depresso è incapace di provare gioia, così com’è incapace di provare dolore.

La depressione è l’assenza di ogni tipo di emozione, è un senso di morte che per il depresso è assolutamente insostenibile. E’ proprio l’incapacità a provare emozioni che rende la depressione così pesante da sopportare.- Erich Fromm-

TESTO A CURA DI MAGGIE LONGHI (psicologa)

 La depressione è una patologia sempre più diffusa: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ne soffrono oltre 3 milioni di italiani; una percentuale variabile tra il 4,4% e il 7%. Negative anche le stime per il prossimo futuro: la Società italiana di psichiatria stima che entro il 2030 la depressione sarà “la prima malattia più invalidante al mondo con altissimi costi sociali e forte impatto economico”.

Tuttavia le conoscenze su di essa non sono così diffuse e la maggior parte delle persone non ha chiaro cosa significhi soffrire di depressione, né come poter essere utile a chi né è coinvolto. Ciò è comprensibile: chi ha voglia di parlare di depressione? La depressione fa paura, spaventa…Da essa si vuole scappare, fuggire, eliminarla il più velocemente possibile.

Ma, come avviene in ogni battaglia, il primo passo per sconfiggere il nemico è conoscerlo! 

Spesso viene confusa con infelicità, tristezza, dolore e viene concettualizzata come l’opposto della gioia e della felicità. In realtà non c’è niente di più errato. Spesso anche l’idea comune di felicità è errata: essa viene intesa come uno stato di benessere privo di sofferenze o turbamenti. Come già compreso da Spinoza (filosofo del ‘600) la felicità può essere definita come l’espressione di un’intensa vitalità.

Chi vive intensamente prova sia gioia che dolore che vanno di pari passo, in quanto conseguenze di una vita vissuta intensamente. Quindi dolore e tristezza non sono l’opposto della felicità perché entrambi sono parte costitutiva della vita.

Al loro opposto invece c’è la depressione che equivale all’assenza di emozioni. Quindi non è sinonimo di tristezza o dolore ma proprio l’esatto contrario. Chi non prova dolore non è vivo e chi non è vivo non può nemmeno essere felice.

La depressione è l’incapacità di provare emozioni. La depressione è la sensazione di essere morti mentre il corpo è ancora in vita. Non equivale affatto alla pena e al dolore, con i quali anzi non ha niente in comune. Il depresso è incapace di provare gioia, così come è incapace di provare dolore. La depressione è l’assenza di ogni tipo di emozione, è un senso di morte che per il depresso è assolutamente insostenibile. E’ proprio l’incapacità a provare emozioni che rende la depressione così pesante da sopportare. (Erich Fromm, I cosiddetti sani, 1991 –postumo). 

La depressione è una dimensione nel quale il tempo e la spazio perdono la loro connotazione: il corpo pesante si muove in mondo grigio, sfumato, sfuocato, indistinto… Il tempo si dilata e si uniforma. È come essere immersi in una grande bolla che rende la percezione ovattata e il mondo esterno sempre meno importante. Tutto perde senso, i pensieri sono confusi, il futuro appare privo di prospettive e di opportunità. 

I cambiati sociali che interessano il mondo moderno portano sempre di più gli individui verso la strada dell’alienazione, intesa come uno stato di disagio esistenziale, di smarrimento, caratterizzato dall’estraneazione dell’uomo rispetto alle relazioni sociali e alla propria identità ed autenticità. Nella società moderna, liquida (come viene definita da sociologo Bauman) tutto funziona secondo la logica del consumismo: niente deve essere stabile in modo permanente, tutto deve essere pronto per essere gettato e sostituito. Tutte le sfere della vita sono inevitabilmente sottoposte al processori mercificazione, senza eccezione per le relazioni umane, per i valori e per gli ambiti più intimi della sfera privata. Oggi le relazioni sono sempre meno profonde  in quanto anch’esse soggette alla clausola “soddisfatti o rimborsati” diventata metro di ogni rapporto (Bauman 2006). L’utilitarismo crea rapporti effimeri in quanto l’utile non lega. Anche le relazioni non possono quindi essere motivo di legame profondo; ogni relazione deve essere pronta per poter essere chiusa in qualsiasi momento senza eccessivi “intoppi”, per essere sostituita con un legame nuovo che soddisfa in modo migliore i bisogni del momento. Le relazioni sono concepite solo come mezzi per l’autorealizzazione ed emozioni e sentimenti divenuti un “collante” scomodo. Le emozioni sono concepite come qualcosa di negativo, che lega ad un ideale, ad un valore, ad una relazione. I valori tendono ad essere sempre più materiali, quindi anche essi sempre più effimeri e volubili. Si collega il benessere e la costruzione della propria identità al possesso di beni materiali ma quando essi devono essere sostituiti la felicità finisce con loro e l’identità deve essere immediatamente ricostruita e ricollegata ad altri beni materiali o sensazioni fisiche. Un mondo pieno di uomini costantemente in cerca di qualcosa d’altro. Inseguono qualcosa che è fuori da sé, un modello che non esiste e che non possono raggiungere, perché non ha radici nella propria identità: un nuovo taglio o un nuovo colore di capelli, una nuova macchina, un nuovo lavoro, un nuovo corpo, una casa nuova. Una volta conquistati, sono già vecchi. E la corsa non finisce mai.

È facile comprendere come  questa società spinga l’essere umano a perdere sempre più il contatto con le sua dimensione più interna, psichica, emotiva. Sono in aumento quindi le persone che vivono in uno stato di apatia: uno stato d’indifferenza abituale o prolungata, insensibilità, senza passione e prive di contatto con la realtà. L’essere costantemente in corsa, però, è anche uno strumento di difesa che questa società moderna ci fornisce, assieme ad altri quali il lavoro, la routine , lo “sballo”, per non sentire il vuoto che deriva dalla drastica riduzione dell’intensità emotiva. Assistiamo quindi ad un aumento di persone separate dalla depressione da una seri di difese anch’esse volubili ed effimere e pronte a crollare come un castello di sabbia non appena un evento esterno o interno  turba un po’ più profondamente, lasciando emergere quella terribile sensazione che deriva dall’accorgersi di non poter provare più niente. 

 Allora come agire quando si sta vicino ad una persona depressa?

Capire una malattia è il primo passo per avere il giusto atteggiamento nei confronti della persona colpita in quanto comportamenti che a buon senso possono sembrare di aiuto possono in realtà peggiorare la situazione. È importante maturare la consapevolezza della necessità di rivolgersi ad una persona esperta, sia per comprendere i giusti atteggiamenti da tenere con la persona depressa, sia per offrire al soggetto colpito una possibile strada per uscire da un disturbo che non può essere affrontato con la semplice “forza di volontà”.

Chi ha a che fare con una persona depressa si trova innanzitutto a fare i conti con l’atteggiamento prevalente tenuto da esse: la rinuncia. La persona depressa è demotivata, incapace di agire e reagire; il suo atteggiamento generale e pervasivo di passività è costante e diffuso in tutti gli ambiti di vita. Il soggetto depresso ha a malapena la “forza” di esprimere il suo disagio attraverso continue lamentele. Di fronte a tale atteggiamento spesso si tende a consolare la persona: ad evidenziare quanto la vita sia bella, quanto sia importante reagire, prendere in mano la propria vita, farsi forza ecc. Tutto ciò però, non solo non è utile, ma al contrario può contribuire a peggiorare la situazione, generando o aumentando nel soggetto sensi di colpa, frustrazione o rabbia; emozioni che solitamente sono fortemente presenti nel depresso, anche se non riconosciute. Ciò di cui si ha maggiormente bisogno nella depressione è, invece, sentire riconosciuta la dignità e l’importanza del proprio vissuto per sollecitare la ricerca attiva delle cause che lo sottendono e delle possibili vie di guarigione. 

 Direttamente collegata alla rinuncia è la tendenza a delegare presente nel soggetto depresso. Anche assecondare tale atteggiamento è una soluzione dannosa in quanto aumenta la convinzione del depresso di non riuscire a fare nulla da solo, confermando quindi le credenze negative su stesso e peggiorando progressivamente la sua condizione. 

Un atteggiamento utile è invece quello di aiutare e sostenere la persona a intraprendere e mantenere in modo costante e continuativo un attività di esercizio fisico. Le ricerche sono infatti concordi nell’affermare che l’esercizio fisico gioca un ruolo importante come supporto nella terapia nei casi di depressione. Ciò probabilmente grazie al fatto che l’attività fisica permette il rilascio di endorfine, sostanze dotate di proprietà analgesiche, e di noradrenalina, fondamentale per la regolazione dell’umore.